Fototerapia

da | Nov 27, 2024 | strumenti di cura | 0 commenti

Introduzione

In questo articolo potrai approfondire il tema della fototerapia con un attenzione particolare alle cinque tecniche di J. Weiser e un cenno ad altri metodi che integrano la fotografia in terapia.

Ogni fotografia è un’esperienza narrativa silenziosa che racconta vissuti personali silenziosamente, senza le parole e la voce, attraverso un linguaggio fatto di simboli, di metafore, di gesti, di espressioni e movimenti corporei.

Judy Weiser ideatrice della Fototerapia, nel suo libro, definisce le fotografie come “impronte” delle nostre menti e “specchi” delle nostre vite.

Ciascuna immagine attiva qualcosa di autenticamente personale e unico, ci da informazioni su chi siamo, da dove veniamo, verso dove stiamo andando e anche chiarezza su ciò che ancora non è del tutto chiaro.

In questo senso, la fotografia diventa un ponte tra il conosciuto del passato e il non conosciuto del futuro. Una linea che non solo ci collega a ciò che è stato, ma anche a come ci sentiamo nel presente, a come potrebbe essere e come la storia si sta ancora scrivendo.

Cos’è la fototerapia?

Nel sito web di Judy Weiser  è presente  una differenza sostanziale tra le seguenti definizioni:

Fototerapia: utilizzo della fotografia DURANTE la terapia.
vs.

Fotografia Terapeutica: utilizzo della Fotografia COME terapia. Te ne ho parlato in questo articolo.

Weiser definisce la fototerapia come un insieme di tecniche che richiedono l’utilizzo della fotografia in un contesto clinico e terapeutico da parte di un terapeuta abilitato al loro utilizzo, in cui la fotografia funge da mediatore nella relazione con il paziente ma soprattutto facilita l’accesso di quest’ultimo al proprio mondo interiore.

Tuttavia, ad oggi, nella rivista Ne.Mo si fa un’ulteriore distinzione tra Fototerapia Clinica e Fototerapia nelle relazioni d’aiuto, secondo cui:

Fototerapia clinica si riferisce all’uso di tecniche fotografiche in un contesto terapeutico, da parte di un professionista  della salute mentale (psicologo, psichiatra, psicoterapeuta, ecc.) che ha ricevuto una formazione specifica sui principi e le modalità delle “Phototherapy Techniques” e sull’uso della fotografia come strumento proiettivo, di mediazione e cura psicologica.

Fototerapia nelle relazioni di aiuto si riferisce a interventi utilizzati da persone che non sono terapeuti, ma che operano in contesti di supporto (come arte-terapeuti, counselor, coach, educatori, tecnici della riabilitazione psichiatrica, ecc.), purché abbiano ricevuto una formazione nell’uso della fotografia secondo i principi delle “Phototherapy Techniques” di J. Weiser.

Personalmente non condivido questa nuova distinzione poiché, dal momento che l’utilizzo della fotografia come strumento mediatore  e proiettivo potrebbe far emergere contenuti dolorosi, riattivare e riacutizzare possibili traumi, ritengo essenziale e direi doveroso tutelare le persone a possibili rischi attraverso un approccio trauma-informed ossia “informato sul trauma” che tiene conto dei vissuti traumatici e delle complessità psicologiche, emotive e corporee legate al trauma.

L’utilizzo della fototerapia è, a mio avviso, compito di professionisti della salute mentale, in quanto mediante l’integrazione di strumenti specifici, validati scientificamente, la persona può essere accompagnata a ripercorrere la propria esperienza di vita, a definire le strategie più idonee alla gestione delle difficoltà e a dare valore alla sua narrazione. 

Le origini della fototerapia

Se è vero che il potere terapeutico della fotografia ha ottenuto il suo riconoscimento negli anni Settanta del Novecento grazie a J.Weiser, il termine si inizia a diffondere alla fine dell’800. Nel 1865 il medico e psichiatra (e fotografo per passione), Hugh Diamond utilizzò per primo i suoi scatti fotografici come strumento mediatore di cura per i suoi pazienti psichiatrici, così da poterli accompagnare verso una presa consapevolezza della propria immagine corporea.

Dal suo lavoro riuscì a dimostrare l’effetto terapeutico positivo che la visione delle foto aveva per i suoi pazienti.

In seguito, altri professionisti ne fecero uso, ad esempio:

  • Carl Rogers, esponente della psicologia umanista, utilizzò le fotografie come strumenti terapeutici.
  • J. L. Moreno, considerato il fondatore dello psicodramma, le adottò come stimolo di attivazione durante le sedute di gruppo.
  • Lo psicoanalista Heinz Kohut le impiegò nei colloqui per esplorare aspetti della storia d’infanzia dei suoi pazienti.
  • Nel 1975 J. Weiser scrisse il suo primo articolo sulla Fototerapia.

La fotografia in un percorso di counselling psicologico: qual è la sua utilità?

I percorsi di counselling psicologico sono un momento e uno spazio – individuale o di gruppo – in cui poter acquisire una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie risorse ma soprattutto delle proprie ombre di cui spesso l’individuo non è consapevole, e in cui l’elemento cardine è “fare esperienza” della propria trasformazione psicologica ed emotiva.

Lavorare con le immagini, sperimentare la pratica dell’autoritratto e scattarsi dei ritratti terapeutici significa -come dice Hilmann- “fare Anima”.

Per Hillman, l’Anima è il luogo in cui risiedono le immagini.

Le immagini, all’interno di un percorso di counselling psicologico, diventano strumento di facilitazione nel processo di riappropriazione dei “frammenti” del sé, di costruzione della propria identità e di trasformazione in ciò che si è. Un incontro con il proprio sé.

Incontrare se stessi non è così facile, la presa di consapevolezza di sé, della propria persona, della propria essenza richiede tempo e pazienza; e sicuramente utilizzare le immagini rende più veloce e intenso tale processo.

L’utilizzo delle fotografie in un percorso di counselling psicologico si rivela dunque un potente strumento per consentire alla persona di attivare connessioni che potrebbero passare inosservate e rimanere nascoste nell’inconscio, e facilitare l’esplorazione profonda di emozioni, pensieri e memorie su esperienze vissute che spesso sono difficili da raggiungere solo tramite il linguaggio verbale. 

Al contempo, diventa strumento utile per permette di rompere gli schemi ripetitivi e disfunzionali che talvolta impediscono una visione più sana della realtà. Grazie alla possibilità di vedere una stessa situazione sotto nuove prospettive, il paziente può esplorare emozioni e reazioni non ancora completamente elaborate, portando alla luce significati nascosti.

La fototerapia in pratica: 5 tecniche

Le tecniche di fototerapia riportate da J. Weiser sono cinque:

  1. Il  photoprojective o processo proiettivo.
  2. Lavorare con gli autoritratti.
  3. Lavorare con foto di pazienti scattate da altre persone.
  4. Lavorare con foto scattate o raccolte dai pazienti.
  5. Lavorare con album di famiglia e altre foto autobiografiche.

1.Il processo proiettivo o photoprojective.

Nell’utilizzo di questa tecnica il significato che le reazioni di una persona ha nell’osservare una fotografia non sono casuali, ma riflettono la sua interiorità, ciò che una persona vede e sente quando osserva una foto è una proiezione delle emozioni, dei pensieri e delle esperienze che porta dentro di sé e che si creano durante il processo di osservazione, anche se non ne è pienamente consapevole.  Come spiega J.Weiser, la fotografia diventa catalizzatore non verbale che fa emergere sentimenti e memorie a lungo escluse dalla coscienza, un ponte tra il mondo interiore (quello che sentiamo, pensiamo, viviamo) e il mondo esterno.

La visione della stessa fotografia, da parte di diverse persone, può suscitare reazioni diverse in ciascuna. Ogni persona vedrà la stessa scena ma ciascuna di loro  secondo personali associazioni mentali (e visive) la interpreterà in modo del tutto soggettivo. Il significato (il messaggio emotivo), così come le reazioni, di fronte ad un’immagine non solo sarà del tutto personale ma anche spontaneo. Ogni messaggio e reazione  variano in base all’osservatore, e ciò dipende da diversi fattori quali: le esperienze di vita, i valori, la storia personale, il background socio-culturale.

Le fotografie, quindi, non sono solo immagini “neutre” ma diventano specchio interiore: Noi non vediamo le cose come sono, noi vediamo ciò che siamo.

Una possibile domanda in sessione: Questa foto, ti ricorda qualcosa della tua vita?

2. Lavorare con foto scattate o raccolte direttamente dal cliente.

In questa tecnica, il cliente, seguendo un tema proposto dal terapeuta, può scegliere o scattare delle immagini che rispecchiano pensieri, emozioni o situazioni specifiche della sua vita. Queste fotografie possono essere fatte con una macchina fotografica o anche con uno smartphone, ma non solo: il cliente può anche raccogliere immagini da altre fonti, come riviste, cartoline, o internet, includendo fotografie già esistenti o immagini modificate attraverso tecniche digitali o analogiche.

L’obiettivo è quello di esplorare le metafore e i simboli personali che emergono dalle immagini scelte o create dal cliente. Queste immagini, anche se apparentemente semplici, possono nascondere significati più profondi e rivelatori che il paziente potrebbe non aver notato al momento dello scatto e diventare uno strumento di riflessione che aiuta il paziente a portare alla luce aspetti della sua vita di cui non aveva chiarezza o consapevolezza.

Una possibile domanda in sessione: “Noti degli elementi che si ripetono nelle immagini che hai portato?”

3. Lavorare con foto di pazienti scattate da altre persone.

Per questa tecnica si chiede alla persona di lavorare su immagini scattate da altre persone, che possono mostrare il paziente sia in posa, con una posa scelta appositamente, sia in momenti più spontanei. 

Durante il lavoro terapeutico, è interessante esplorare e confrontare queste due tipologie di ritratti, per vedere riflettere su come il paziente potrebbe essere percepito dagli altri e su cosa comunica attraverso il suo aspetto e il linguaggio del corpo. È un’opportunità per esplorare non solo come ci vediamo, ma anche come pensiamo che gli altri ci vedano, e come questo può influenzare la nostra autopercezione e le nostre relazioni.

Una possibile domanda in terapia:  “Cosa cambieresti se sapessi che qualcuno ti sta fotografando in questo momento?”

4. Lavorare con gli autoritratti.

Questa tecnica si riferisce all’utilizzo di qualsiasi fotografia che il paziente ha scattato (o scatterà) a se stesso, sia letteralmente che metaforicamente.

Si tratta di fotografie in cui la persona ha  avuto il  controllo  totale   su  ogni  aspetto  della  creazione dell’immagine, senza l’interferenza esterna. 

Una possibile domanda in terapia:  “Se la persona della fotografia potesse parlare, cosa direbbe?”

5. Lavorare con album di famiglia e altre foto autobiografiche.

Questa tecnica include fotografie che si trovano negli album di famiglia o nelle raccolte fotografiche personali del paziente, come quelle incollate sui muri, nei diari, nelle porte, nel portafoglio, o salvate sul telefono. Queste immagini possono includere foto scattate da altre persone, autoritratti, o immagini che ritraggono momenti significativi della propria vita e delle proprie relazioni.

L’album fotografico diventa quindi un vero e proprio racconto visivo della vita di una persona, che spesso offre una visione idealizzata della propria storia e identità, infatti non si tratta solo di fotografie della singola persona, ma soprattutto di come queste persone sono inserite all’interno del contesto famiglia e nelle loro relazioni significative con gli altri.

Durante il lavoro di analisi è interessante confrontare aspetti che si ripetono da generazioni, incongruenze, aspetti che sono cambiati o addirittura la scoperta di particolari ai quali la persona non aveva mai posto attenzione.

Una possibile domanda in terapia:  “Quali ricordi sono associati ad ognuna di queste fotografie?”

Queste foto possono essere realizzate durante sessioni di fototerapia specifiche, ovvero momenti in cui l’uso delle immagini è al centro del colloquio psicologico, oppure possono essere portate dal cliente nella seduta successiva, come risposta a un’attività o “compito” dato dal terapeuta.

Ciascuna di queste tecniche può essere utilizzata singolarmente, ma dalla mia esperienza lavorativa posso dire che nella pratica spesso si sovrappongono e si integrano con altre tecniche arteterapeutiche e psicoterapeutiche.

La fototerapia nei diversi approcci psicologici

In ambito psicologico sono diversi gli approcci terapeutici, e ciascuno di essi ha una visione unica della persona e metodi di intervento specifici che si adattano a determinate problematiche e situazioni. Da una ricerca qualitativa svolta dalla psicoterapeuta F.Belgiojoso e coll., è emerso che le tecniche di fototerapia sono uno strumento estremamente flessibile e versatile da poter essere integrate ai diversi orientamenti psicologici.

1. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO PSICOCORPOREO

La Fototerapia Psicocorporea nasce dalla fusione di due metodologie terapeutiche: la fototerapia e l’approccio psicocorporeo e sensomotorio, in cui la loro integrazione permette di inserire in un lavoro di supporto psicologico non solo l’utilizzo della fotografia ma anche del corpo.

Questo approccio aiuta le persone a esplorare e comprendere non solo i loro pensieri, ma anche le reazioni del corpo, le emozioni e sensazioni che emergono in risposta alle immagini, creando un’esperienza terapeutica più completa e profonda. 

Il lavoro terapeutico con il corpo permette di affrontare meglio ciò che emerge dalle immagini (il respiro può accelerare o fermarsi, il corpo si può irrigidire o rilassare…), questo perché il corpo è il centro delle nostre emozioni, e solo attraverso di esso che le viviamo, le esprimiamo o, a volte, le nascondiamo.

2. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO PSICODINAMICO

L’approccio psicodinamico pone un importanza fondamentale al ruolo dell’inconscio e dei contenuti rimossi. La parte inconscia della persona comunica attraverso immagini simboliche (es. i sogni) e si fa sentire nelle sensazioni, percezioni ed emozioni generate dal corpo. Per questo motivo, in un percorso di ricerca personale, la fotografia può diventare un potente strumento introspettivo capace di far emergere e indagare tutti quegli aspetti inconsci che influenzano i pensieri e comportamenti della persona stessa.

Tra le tecniche di fototerapia approfondite in questo articolo, il photo-projective è la tecnica maggiormente utilizzata dai terapeuti ad approccio psicodinamico, in quanto il linguaggio visivo delle imamgini favorisce l’abbassamento delle resistenze e facilita il contatto con il proprio inconscio rendendo più immediato l’emergere del proprio mondo interiore.

Inoltre, un altro metodo psicodinamico attraverso la fotografia è il Photolangage, ideato da Claudine Vacheret, che utilizza le immagini per facilitare la comunicazione e la mediazione tra i membri del gruppo. 

Il Photolangage stimola l’accettazione delle differenze perché permette al soggetto di dare un senso all’immagine scelta e accedere a una vera presa di consapevolezza per poi modificare la propria iniziale percezione dell’immagine o sviluppare una maggiore tolleranza rispetto al diverso punto di vista altrui, grazie alla condivisione con il resto del gruppo.

3. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO SISTEMICO – RELAZIONALE

L’approccio sistemico-relazionale considera la persona non nella sua individualità ma come appartenente a un sistema fatto di relazioni e interazioni che influenzano, e hanno influenzato, il suo comportamento.

La tecnica di fototerapia preferenziale per i terapeuti ad approccio sistemico-relazionale è la tecnica dell’album di famiglia in quanto permette di comprendere il  tipo di narrazione familiare, adottare una nuova  prospettiva rispetto alle dinamiche familiari, portare alla luce valori, ritualità ma anche conflitti relazionali, e raggiungere una nuova consapevolezza di sé tramite la rielaborazione e rinarrazione della propria storia.

Inoltre, uno strumento di lavoro di tipo sistemico-relazionale che utilizza la fotografia è il genogramma fotografico, una variante del classico genogramma introdotta dal terapeuta Rodolfo De Bernart, che ha integrato la fotografia nel lavoro terapeutico. Si tratta di un diagramma genealogico, un grafico delle relazioni familiari che organizza le informazioni relative al nucleo familiare per esplorare non solo il sistema familiare e le sue relazioni in termini di eventi, legami e separazioni; ma anche le emozioni e i vissuti legati a queste dinamiche attraverso due o tre generazioni. (McGoldrick e Gerson, 1985).

4. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO GESTALTICO

L’approccio Gestaltico è un metodo terapeutico che attribuisce un’importanza fondamentale a ciò che sta accadendo nel presente, qui ed ora, non a ciò che è stato nel passato o a ciò che dovrebbe essere nel futuro. 

Una delle tecniche esperienziali utilizzate dai gestaltici è la sedia vuota, in cui il paziente viene invitato a dialogare con la sedia immaginando che di fronte a sé sia seduta una persona reale, un aspetto di sé, un personaggio immaginario o anche un oggetto simbolico. Questa tecnica può essere integrata all’utilizzo di fotografie e arricchire l’esperienza terapeutica, chiedendo alla persona di comunicare direttamente con la fotografia posizionata sulla sedia vuota – cosa le domanderesti? cosa vorresti ti rispondesse?

5. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO COGNITIVO – COMPORTAMENTALE

L’approccio cognitivo – comportamentale si occupa di aiutare la persona a identificare e modificare i pensieri disfunzionali (cognizioni) e comportamenti problematici che determinano in lei vissuti di disagio emotivo. 

Una delle tecniche cognitive – comportamentali è la ristrutturazione cognitiva che incoraggia la persona a mettere in discussione la validità dei propri pensieri e a sostituirli con pensieri più realistici. Questa tecnica può essere integrata alle tecniche di fototerapia, ad esempio chiedendo alla persona di scattare o raccogliere fotografie per descrivere ciò che prova e ciò che pensa, aiutandolo a capire perché vive un determinato disagio.

5. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO STRATEGICO

Il trattamento breve – strategico è un approccio terapeutico orientato alla soluzione dei problemi psicologici attraverso protocolli e strategie di intervento mirati e focalizzati ad affrontare le specifiche difficoltà in modo efficace e veloce. 

Le tecniche strategiche possono essere integrate alle tecniche di fototerapia, ad esempio chiedendo, in fase conoscitiva, alla persona di portare in seduta alcune fotografie che rappresentano la sua vita dopo aver raggiunto l’obiettivo terapeutico, come se rappresentasse visivamente la sua capacità di risolvere il problema. Un altro esercizio da proporre alla fine di ogni sessione potrebbe essere quello di  proporre alla persona di scattare delle fotografie cosa dovrei fare? Questo esercizio può orientare la persona verso la ricerca di specifiche e utili strategie. 

6. LA FOTOTERAPIA NELL’ APPROCCIO COSTRUTTIVISTA

La terapia cognitivo-costruttivista si focalizza sull’idea che le persone non si limitano a ricevere passivamente informazioni, ma le rielaborano e le integrano in base alla loro personale comprensione del mondo. Una costruzione individuale della realtà.

In questo approccio le tecniche di fototerapia possono essere integrate per conoscere il significato che la persona attribuisce alle sue esperienze personali ma anche per accompagnarla ad una presa di consapevolezza del proprio modo di interpretare i suoi vissuti; ad esempio, si può proporre di scattare delle fotografie invitandola a raccontare visivamente la sua personale visione rispetto a una tematica specifica che si sta affrontando in sessione.

Personalmente, la mia metodologia ha le sue radici nell’approccio Gestaltico Integrato in quanto combino le pratiche terapeutiche Gestaltiche con elementi di altri approcci, in base al paziente con cui sto lavorando.

I setting per utilizzare la fotografia in terapia

Come ci racconta Linda Berman in La Fototerapia in psicologia clinica, la fotografia offre a chiunque, indipendentemente dall’età, una nuova prospettiva per vedere ed essere visti, una possibilità di essere notati. La fototerapia, infatti, può essere utilizzate nelle diverse fasce d’età: dall’infanzia, all’adolescenza ed età adulta, fino all’ età anziana.

Essendo uno strumento terapeutico estremamente flessibile, è adattabile non solo a diverse persone ma anche a differenti setting terapeutici: 

  • setting individuale: ad esempio, per favorire l’esplorazione del sé e della storia personale, accedere a emozioni difficili da verbalizzare o sviluppare una maggiore consapevolezza di sé.
  • setting gruppale: ad esempio, può facilitare la comunicazione, permettere di esplorare le dinamiche del gruppo, favorire l’espressione emotiva collettiva e facilitare la condivisione di esperienze.
  • setting di coppia: ad esempio, per esplorare e comprendere la storia della relazione di coppia, identificare conflitti sottostanti o dinamiche di potere che spesso potrebbero non essere esplicitamente discusse nella coppia, rafforzare il legame emotivo.
  • setting familiare: ad esempio, per condividere storie familiari e rivivere eventi significativi, per visualizzare le dinamiche familiari, capire come i vari membri si relazionano tra loro e identificare possibili modalità di interazione che si sono tramandati nel tempo; può essere molto utile anche per aiutare a comprendere la radice di determinati conflitti o difficoltà all’interno del contesto famiglia.

Cosa non è richiesto in un percorso di fototerapia

In un percorso di fototerapia, la fotografia non è utilizzata come opera artistica piuttosto come opera espressiva per comunicare a sé, all’altro e al mondo; e per tale motivo non è richiesta alcuna competenza tecnica o esperienza professionale in ambito fotografico. Le competenze fotografiche e digitali possono sicuramente facilitare il processo di creazione ed elaborazione delle immagini ma non sono assolutamente un requisito necessario per intraprendere un percorso fototerapeutico.

Conclusione

Nel mio percorso lavorativo ho incontrato professioniste del settore fotografia ma anche appassionate e non, che hanno scelto di utilizzare la fototerapia all’interno dei loro percorsi guidati o percorsi personali per esplorare le tematiche del carattere e personalità, identità e immagine (personale e corporea). Ciascuna di loro ha potuto utilizzare la fotografia come uno strumento per raccontare la propria storia, riflettere sulla propria percezione personale e corporea, dando vita a una nuova narrazione di sé attraverso le immagini.

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Scritto da Silvia Previtera, Psicologa e Fotografa di autoritratto e ritratto.

Sono esperta in fototerapia e fotografia terapeutica, e specializzata in psicologia a mediazione espressiva-corporea. 

Nel mio lavoro supporto le donne nel ritrovare se stesse esplorando tematiche come carattere, identità, immagine e corpo con percorsi psicologici e fotografici dal valore terapeutico.

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