Eccomi a pubblicare la prima intervista del progetto STORIE DI, un appuntamento mensile su Instagram sottoforma di intervista in diretta.
L’idea è quella di presentare diverse storie di vulnerabilità al femminile, e diverse professioniste che si occupano di cura personale e corporea affinché ciascuna donna possa ritrovarsi e riconoscersi in ogni storia, ma sopratutto possa farsi coraggio per chiedere sostegno o semplicemente conforto.
Categoria: “Storie di cura” – Interviste tematiche in cui approfondiremo un tema attraverso le risposte della professionista intervistata.Categoria: “Storie di vulnerabilità” – Interviste personali in cui conosceremo storie di donne che hanno hanno attraversato il vuoto della vulnerabilità.
La professionista che ho intervistato in questa prima intervista è Federica Mondelli, TeRP ed Educatrice Somatica.
In questa prima intervista della categoria STORIE di cura, Federica introdurrà la professione di TeRP e approfondirà il tema dell’Immagine Corporea con un approccio inclusivo al peso e alla salute.
FEDERICA MONDELLI
TeRP - EMBODIMENT EDUCATOR (FACILITATRICE SOMATICA)
INTERVISTA LIVE
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TRASCRIZIONE INTERVISTA
FEDERICA MONDELLI | N.O1
Ciao Federica e benvenuta, in questa intervista vorrei parlare della tua storia di cura e di come, attraverso la tua professione, accompagni le donne a vivere una relazione piena e consapevole con il proprio corpo.
Come prima domanda vorrei chiederti di parlare della professione di Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica perché credo sia una professione parzialmente conosciuta, o in parte confusa con quella di altri professionisti sanitari.
Il/La tecnico/a della riabilitazione psichiatrica è un/una professionista sanitario iscritto all’albo di riferimento (Federazione nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione).
Il focus del suo lavoro è il funzionamento psicosociale, emotivo e cognitivo delle persone e il suo intervento, che si estende lungo l’intero arco della vita e che si basa su un preciso core competence professionale (che rappresenta la bussola), può essere sia di tipo preventivo (es.laboratori con in ambito scolastico, interventi di prevenzione dello stigma ecc) che riabilitativo (es. interventi sulle abilità di vita quotidiana, riabilitazione delle competenze sociali ecc.).
A seconda della formazione specifica del/della professionista, può intervenire in aree diverse come ad esempio quella dei disturbi alimentari, dei disturbi dell’umore, degli esordi psicotici, dei disturbi dello spettro autistico ecc.
Il/La TeRP lavora in diversi setting (domiciliare, ambulatoriale, residenziale ecc) e collabora con diverse figure professionali, poiché un lavoro di tipo multidisciplinare e integrato può favorire la svolta (il cambiamento) della persona.
Ad esempio, ritengo la collaborazione tra TeRP e psicologo/a estremamente preziosa. In ambito clinico possono esserci delle sovrapposizioni rispetto ad alcuni specifici interventi (psicoeducazione, social skills training…) ma sono presenti altrettante differenze sostanziali: il/la TeRP, ad esempio, non si occupa di sostegno psicologico o diagnosi.
Il tuo ambito di intervento è relativo all’immagine corporea. Ti andrebbe di definire brevemente il concetto di immagine corporea e quali sono le sue componenti?
L’immagine corporea è un costrutto multidimensionale complesso di cui non abbiamo una definizione univoca. Potremmo affermare che corrisponde all’insieme delle percezioni, pensieri, emozioni e comportamenti riguardanti il proprio corpo.
A partire da questa definizione possiamo individuare, di conseguenza, una serie di componenti:
- componente percettiva (ovvero come percepisco il mio corpo e come stimo/ valuto le sue dimensioni e forme)
- componente emotiva (che emozioni scaturiscono circa il mio corpo)
- componente cognitiva (cosa penso circa il mio corpo)
- componente comportamentale (come interagisco con il mio corpo; es. mi specchio costantemente per fare un check del mio viso; mi peso ossessivamente due volte al giorno…)
Tutte queste componenti interagiscono tra di loro e sono influenzate da fattori socio-culturali e ambientali (es. cultura della dieta, grassofobia, influenza diretta e indiretta del gruppo dei pari o della famiglia).
L’immagine corporea è un’esperienza estremamente soggettiva, influenzata da tantissimi aspetti ma mai dal peso.
E’ importante comprendere quanto l’immagine corporea non corrisponda a come si appare e al peso che si ha poiché anche persone con un corpo “conforme” agli standard di bellezza possono non sentirsi bene con se stesse, e viceversa.
Quando, infatti, intraprendiamo un percorso di dimagrimento ci convinciamo che perdendo peso, e quindi avvicinandoci ai canoni della società, sicuramente staremo meglio, sicuramente la nostra immagine corporea migliorerà. In realtà, non sempre è così.
L’influenza delle componenti sopra citate porta ad avere un’immagine corporea che può essere più o meno negativa o positiva.
E in tal senso è importante chiarire che avere un’immagine corporea positiva non significa necessariamente amare il proprio corpo in ogni momento o nutrire costantemente pensieri di gratitudine verso di esso. Significa piuttosto accettare la normale fluttuazione di pensieri ed emozioni positive e negative circa il proprio corpo, senza che questi influenzino in modo significativo la propria vita, il proprio benessere.
Faccio un esempio: La mattina potrei svegliarmi e sentirmi bene con me stessa e il mio corpo. Poi nell’arco della giornata mi sale la febbre o una semplice emicrania, la sera mi guarderò allo specchio e mi vedrò con il viso scavato, pallido…fino a poter avere dei pensieri negativi circa la mia immagine.
Questo significa che non avrò più un’immagine positiva del mio corpo?
No! Come potete notare c’è stata una normale fluttuazione.
Questa fluttuazione non influenza in modo significativo la mia vita, il mio benessere, non mi impedisce di uscire, vivere esperienze, non mi porta un pensiero ossessivo nei confronti della mia immagine.
Differente è invece avere un’immagine negativa che porta ad avere specifici comportamenti, come: confronto costantemente con il mio corpo e il mio aspetto con quello degli altri,pensieri assolutistici (se non dimagrisco 5kg non andrò in spiaggia…se non mi avvicino al corpo di quella ragazza che ho visto in palestra non metterò più i leggins… sono stata lasciata perché il mio corpo fa schifo…).
C’è un motivo particolare per cui hai scelto di occuparti di questa tematica?
Questa tematica ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore.
Durante i due anni di tirocinio presso il Day Hospital per i disturbi alimentari del Policlinico di Bari rimasi profondamente colpita dalle storie delle persone che decidono di affidarsi a noi per il loro percorso di cura.
Per quasi tutto il decennio successivo ho lavorato con bambinə, adolescentə e comunità vulnerabili fino a che, grazie all’approfondimento di argomenti come la giustizia sociale e la scoperta dell’embodiment, mi sono resa conto che il tema dell’immagine corporea andava ben oltre la presenza di un disturbo, e che quindi una persona poteva avere un’immagine corporea negativa anche in assenza di un disturbo. Questo perché la società ci invia dei messaggi che inevitabilmente fanno emergere un’insoddisfazione che, gli studiosi, defiscono “normalizzatata”.
Partendo da ciò, ho deciso di unire tutto ciò che avevo appreso ed è cresciuto in me il desiderio di contribuire a creare un mondo in cui poter vivere una relazione piena e sana con il proprio corpo.
Relativamente al concetto di immagine corporea, ci sono alcuni argomenti su cui si fa tanta confusione (in particolare sui social) e due tra questi sono:
- Immagine negativa e dismorfofobia
- L’idea che un rapporto negativo con il proprio corpo corrisponda alla presenza di un Disturbo del comportamenti Alimentare
Rispetto alla prima parte:
La Dismorfofobia (ufficialmente conosciuta come Disturbo da Dismorfismo Corporeo) rientra nei disturbi ossessivo-compulsivi perché non vi è una preoccupazione eccessiva, in generale, verso le forme corporee e il peso come invece avviene nei disturbi alimentari (anoressia, bulimia…).
La dismorfofobia è caratterizzata da:
- preoccupazione ossessiva per uno o più difetti relativi all’aspetto fisico, che non sono osservabili o appaiono insignificanti per le altre persone
- presenza di comportamenti o pensieri intrusivi ripetitivi che interferiscono significativamente con il funzionamento quotidiano (es. specchiarsi tutto il giorno, tentare di camuffare in ogni modo il presunto difetto…) associati a comportamenti ripetuti nel tempo
- la preoccupazione causa malessere clinicamente significativo
Faccio un esempio: Per me, le mie caviglie sono storte ma sono così storte che tutti se ne accorgeranno, tutti le osserveranno perché è la prima cosa che si vede e quindi io non indosserò più gonne nella mia vita, cercherò solo un abbigliamento largo che non farà vedere in alcun modo la caviglia. Invece, per chi mi osserva quella caviglia non è rilevante.
Questa tipologia di ossessione spesso porta anche a interventi chirurgici che riguardano quello specifico difetto, ma nonostante continui interventi per correggere il difetto l’insoddisfazione permane perché è un disturbo più profondo con origine psicologica.
Rispetto alla seconda parte:
Come già detto precedentemente, l’immagine corporea negativa può essere sperimentata anche da persone che non soddisfano i criteri per un disturbo del comportamento alimentare. In questo caso ci riferiamo a una tendenza tipica delle società moderne influenzate dai media e da standard di bellezza irrealistici.
L’insoddisfazione nei confronti del proprio corpo è così comune da venire considerata “normativa” all’interno della popolazione generale, il che dovrebbe portarci a una riflessione molto seria circa l’importanza della prevenzione sin dall’età evolutiva.
L’immagine corporea negativa può essere un fattore di rischio per un disturbo del comportamento alimentare.
E nel momento in cui un disturbo del comportamento alimentare è presente, la presenza di un’immagine corporea negativa rappresenta un fattore di mantenimento di quel disturbo.
Federica, a questo proposito, durante un webinar formativo ho appreso questo concetto:
Da un punto di vista psicologico, spesso il disturbo alimentare è frutto di un malessere, un vuoto profondo accompagnato dal costante desiderio di riempirlo. Può essere un modo di separarsi dall’altro o al contrario di essere visti (manifestazioni soggettive). Il problema non è il cibo ma il cibo diventa l’oggetto compensatorio, una sorta di soluzione a un problema che si trova in un altro posto.
Quali sono le paure (ma anche le resistenze) che le tue pazienti riportano maggiormente relativamente alla loro immagine corporea?
Le paure e le resistenze relative all’immagine corporea possono variare ampiamente da persona a persona. Tuttavia, esistono temi comuni che emergono frequentemente come ad esempio:
- Paura del giudizio altrui: può portare all’evitamento di situazioni sociali, attività fisiche o qualsiasi contesto in cui il corpo possa essere esposto o valutato.
- Resistenza al cambiamento: molte persone si sentono spaventate all’idea di abbandonare vecchi schemi di pensiero o comportamenti legati all’immagine corporea (come ad esempio il dieting costante o l’ossessione per l’esercizio fisico), nonostante questi comportamenti allontanino chiaramente da una condizione di benessere. Per tale motivo è importante rispettare i tempi della persona e tutto viene stabilito insieme (obiettivo, ritmo…).
- Timore di aumentare di peso: spesso vi è la paura che l’accettazione del proprio corpo possa portare a un aumento di peso incontrollato (in tal caso si rivela estremamente preziosa la collaborazione con nutrizionistə e dietistə che lavorano adottando gli Approcci Inclusivi al Peso e alla Salute perché è necessario ristabilire un contatto con il proprio corpo, i propri bisogni e segnali di fame/sazietà).
- Paura del rifiuto: La paura di essere rifiutati a causa dell’aspetto fisico è un altro tema molto comune e spesso deriva da esperienze passate di discriminazione o bullismo (in tal caso ritengo che una presa in carico psicologica/psicoterapeutica sia essenziale).
Qual è l’ approccio lavorativo che utilizzi con le pazienti che presentano questo disagio? Cosa sono gli Approcci Inclusivi al Peso e alla Salute – AIPS®?
Gli Approcci Inclusivi al Peso e alla Salute (AIPS®) rappresentano un paradigma nel campo della salute e del benessere che si distacca dai tradizionali modelli incentrati sulla perdita di peso e sulle misure del corpo come indicatori primari di salute.
Questo approccio, infatti, si basa su principi che promuovono l’accettazione del corpo, la diversità corporea e un modello di salute olistico che prende in considerazione tantissime variabili, incluse quelle sociali e culturali.
Alcuni dei valori fondamentali di questi approcci sono:
- Accettazione e Rispetto (riconoscere e rispettare la diversità dei corpi umani)
- Multidimensionalità della salute (gli AIPS® riconoscono che la salute è multidimensionale e che fattori come l’accesso alle cure, i determinanti sociali della salute, lo stress e le esperienze di vita influenzano il benessere complessivo)
- Ascolto del Corpo e alimentazione intuitiva (principio che si oppone alle diete restrittive e all’esercizio fisico estremo)
- Giustizia sociale (gli AIPS® lavorano per smantellare il bias di peso nella società, nella sanità e nei media e riconoscono le disuguaglianze che influenzano l’accesso alle cure e le opportunità di vivere una vita sana)
Gli AIPS® mirano quindi a promuovere pratiche inclusive e un approccio più compassionevole e personalizzato al benessere, opponendosi alle narrazioni tossiche e restrittive che legano il valore (e la salute) di una persona al suo aspetto fisico o al suo peso.
Cara Federica, vorrei concludere l’intervista con un’ultima domanda:
Come accompagneresti una donna a ripristinare (nella pratica) il rapporto con il loro corpo?
Nei percorsi di psicoeducazione ogni persona porta con sé una storia, esperienze e bisogni specifici. Nel mio lavoro mi impegno quindi ad ascoltare attivamente le sue esigenze per costruire insieme il percorso di benessere, mettendo sempre al primo posto il suo ritmo e le sue scelte.
Per semplificare, potremmo dire che ogni intervento si snoda in 3 aree principali:
- lavoro sugli aspetti culturali e sociali (per sviluppare una maggiore consapevolezza critica nei confronti di come la società influenza la percezione del corpo e per ridurre il peso della responsabilità personale)
- lavoro su pensieri, emozioni e comportamenti individuali
- lavoro per ripristinare il contatto con il corpo: essendo anche una embodiment facilitator/educatrice somatica*, ho deciso di inserire nei percorsi una parte estremamente esperienziale per permettere alle persone di riconnettersi con i bisogni e le sensazioni corporee).
L’obiettivo finale è sempre quello di aiutare le persone a vivere una vita più piena e soddisfacente, in cui l’immagine corporea non sia più un’estrema fonte di stress o limitazione e in cui sia possibile stabilire una connessione positiva con il proprio corpo, ascoltando e rispettando i suoi segnali e bisogni.
Ti ringrazio per avermi dedicato una parte del tuo tempo, spero che questa intervista possa stimolare altre donne a comprendere che prima di “migliorare” la relazione con il proprio corpo, e amarsi a tutti i costi in ogni momento della giornata, sia fondamentale riconnettersi e dialogare nuovamente con quel corpo troppo spesso lasciato inascoltato.
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