Strumenti di cura: fototerapia e fotografia terapeutica

da | Set 20, 2022 | fototerapia e fotografia terapeutica | 0 commenti

Quando le parole non bastano per esprimere un vissuto interiore, si va alla ricerca di strumenti che possano aiutare la  persona a riconnettersi con il proprio mondo interiore. 

La fotografia è uno di questi! 

Un medium potentissimo che svolge la funzione di ponte tra la persona e il suo mondo interiore. 

Il suo potere terapeutico rende questo strumento fortemente trasformativo da un punto di vista psicologico, emotivo e anche percettivo.

Ma qual è la differenza tra fototerapia e fotografia terapeutica?

Fototerapia = Fotografia DURANTE la terapia. (J. Weiser)
J. Weiser definisce la fototerapia come un insieme di tecniche che consistono nell’uso della fotografia in un contesto clinico e terapeutico da parte di un terapeuta abilitato al loro utilizzo.

L’utilizzo della fotografia all’interno di un contesto clinico e terapeutico funge da mediatore nella relazione con il paziente ma sopratutto facilita l’accesso di quest’ultimo al proprio mondo interiore.

Le 5 tecniche riportate da J. Weiser sono:

1. Il processo proiettivo o photoprojective.

Le fotografie proposte, dallə psicologə o psicoterapeuta al paziente/cliente, come strumento proiettivo.

Il significato delle immagini è creato direttamente dal paziente/cliente durante il processo di osservazione.

2. Lavorare con foto scattate o raccolte dai pazienti.

Queste fotografie sono scattate o raccolte direttamente dal paziete/cliente in base ad un tema proposto dallə psicologə o psicoterapeuta durante il percorso.

3. Lavorare con foto di pazienti scattate da altre persone.

Queste fotografie sono state scattate da altre persone e ritraggono il paziente/cliente in posa o in maniera spontanea. Durante il lavoro con lə psicologə o psicoterapeuta è interessante confrontare queste due tipologie di ritratto.

4. Lavorare con gli autoritratti.

Qualsiasi fotografia che il paziente/cliente ha realizzato a se stessə o che rappresenta se stessə.

[In questo mio articolo puoi dare uno sguardo tra selfie e autoritratto.]

5. Lavorare con album di famiglia e altre foto autobiografiche.

Tutte le fotografie che sono state scattate e raccolte negli album di famiglia o appartenenti alle collezioni fotobiografiche del paziente/cliente.

Durante il lavoro con lə psicologə o psicoterapeuta è interessante confrontare aspetti che si ripetono da generazioni, incongruenze, aspetti che sono cambiati o addirittura la scoperta di particolari ai quali non avevano mai posto attenzione.

Detto ciò, se è vero che il potere terapeutico della fotografia ha ottenuto il suo riconoscimento negli anni Settanta del Novecento.
Si inizia a parlare di fototerapia alla fine dell’800 quando il medico e psichiatra Hugh W. Diamond iniziò ad utilizzare la fotografia come medium di cura per i suoi pazienti psichiatrici; dimostrando che quando le foto venivano mostrate al paziente, queste avevano un effetto terapeutico positivo.

Il termine fotografia terapeutica, invece, assume un altro significato.

Fotografia Terapeutica = Fotografia COME terapia. (J. Weiser)

La fotografia terapeutica indica generalmente l’uso di pratiche fotografiche messe in atto dalle persone stesse all’intento di contesti in cui non si sta svolgendo alcuna terapia con l’obiettivo di affrontare, osservare, trasformare tematiche specifiche come l’auto-esplorazione, l’auto-indagine, incrementare l’autostima ecc… 

Una pioniera di questa definizione è sicuramente Jo Spence, fotografa e artista. Quando Jo Spence si ammalò di cancro al seno decise di utilizzare la fotografia come strumento di cui “cura” per esplorare il suo mondo interno e la sua immagine. Il suo lavoro “The Crisis Projects 1982-1992” mostra i vari stadi del cancro al seno, cercando di mostrare un’immagine femminile diversa da quella che costantemente veniva mostrata e idealizzata dalla società.

E la parola Terapia?

La parola “terapia” deriva dal greco antico “therapeia” e significa “servizio, culto; cura, trattamento”; ma se utilizzata in un contesto generico – diverso da quello medico – assume il significato di “avere cura”, di supporto e non di guarigione.

La fotografia può essere il tuo strumento terapeutico.

Ma la fotografia terapeutica – così come tutte le artiterapie – è una modalità espressiva che può affiancare il percorso terapeutico o di supporto psicologico.
È uno strumento aggiuntivo che non può sostituire il lavoro psicologico o psicoterapeutico.

La competenza di un clinico (psicologə o psicoterapeuta) è essenziale per individuare delle situazioni problematiche, per rielaborare vissuti/emozioni/sentimenti che sono emersi durante il lavoro fototgrafico e, sopratutto, per aiutarti a trasformarti. Sicuramente, un percorso di fototerapia e fotografia terapeutica può essere una valida alternativa per poter lavorare a 360°.

Di cosa mi occupo io?

Io Silvia, mi occupo di fototerapia clinica e nelle relazioni d’aiuto, di fotografia terapeutica mediante l’utilizzo del ritratto e autoritratto. In particolare, utilizzo l’autoritratto terapeutico come strumento di indagine personale. 

Nel mio lavoro di psicologa e fotografa integro, alla Fototerapia e Fotografia Terapeutica, anche pratiche di espressività artistica e corporea per favorire il benessere e la cura della persona che si affida a me.

Vuoi sapere quando ho incontrato la fototerapia e la fotografia terapeutica?

Fin da bambina sono cresciuta immersa nella fotografia.

Mio padre aveva un Olympus analogica con la quale fotografava. Sono cresciuta tra rullini e negativi che venivano stampati e proiettati nella parete bianca di casa.

Nell’esatto momento in cui mio padre smise di fotografarci, iniziai io.

È dall’adolescenza che tengo in mano una macchina fotografica: scattarmi fotografie è diventato l’unico modo per incontrare e ascoltare me stessa. Il mio modo per dirmi “Ci sono Io con Te, ti voglio bene!”. La possibilità che dono alla me razionale di immergersi tra le acque della mia anima e lasciarmi fluire tra le onde del mio Essere.

[Se ti interessa, in questo articolo ho parlato della fotografia come incontro con se stessi.]

Sai, però, quando ho veramente preso consapevolezza di come potevo “dare ascolto a me stessa” con la fotografia?

Ti riporto un estratto di una mia vecchia newsletter:

Ho veramente preso consapevolezza di come potevo “dare ascolto a me stessa” con la fotografia a Novembre 2019.
Quell’anno, a Siena, si svolgeva il Siena International Photo Awards e decisi di partecipare ad un workshop esperienziale intitolato “Conoscersi con la fotografia” (quel giorno non sapevo ancora che da lì a breve ci avrebbero “rinchiusi” per il lockdown e messo faccia a faccia con noi stessi…ma questa è un’altra storia).

Quel giorno mi sono avvicinata al mondo della fototerapia, scoprendo quasi per caso il lavoro di J. Weiser.

Durante il workshop ci fecero scattare un autoritratto (no selfie) con lo smartphone e successivamente, dopo avercelo stampato, ci chiesero di segnare con un pennarello quelle parti che raccontavano silenziosamente il:
– come mi vedo io
– come mi vedono gli altri
– come vorrei che mi vedessero gli altri

articolo-come-mi-vedo-io

2019//COME MI VEDO IO:

  •  Confusa
  • Arrabbiata
  • Stanca
  • In gabbia
articolo-come-mi-vedono-gli-altri

2019//COME MI VEDONO GLI ALTRI

  • Intelligente
  • Laureata
  • Coraggiosa
  • Sorridente
articolo-come-vorrei-che-mi-vedessero-gli-altri

2019//COME VORREI CHE MI VEDESSERO GLI ALTRI

  • Solare
  • Non arrabbiata
  • Con il mio “vero” sorriso
  • Con il mio sguardo sincero e attento agli altri
  • Amante della fotografia

“Che cosa dicevano di Me quegli autoritratti?”

Tanto…

Raccontavano silenziosamente la (mia) rabbia verso me stessa, verso le mie paure.
Raccontavano del mio amore per la fotografia soffocato per paura di essere giudicata e di non essere all’altezza.
Raccontavano parti di me che io inconsapevolmente facevo emergere SOLO perché non ero Felice delle mie scelte.

Per anni avevo soddisfatto le aspettative degli altri, per non deluderli, per essere AMATA e per dimostrare AMORE. Mettevo a fuoco gli altri ma non me stessa.

Quel giorno ho deciso di regolare la prospettiva e cambiare la messa a fuoco. Poi è arrivato il lockdown che, per fortuna o per sfortuna, mi ha messo a dura prova facendomi percorrere un viaggio di isolamento alla ricerca di me stessa.

Da quel giorno non mi sono più fermata.

Nel 2020 mi sono ufficialmente formata all’utilizzo delle Tecniche di Fototerapia e sono sempre in continua formazione.

Ciò che, però, ha fatto la differenza sono stati i due workshop esperenziali che mi hanno accompagnato durante il lockdown:

1. Di Stanze: Sogni e Fotografia per attraversare la pandemia con Marilena Pisciella
Un workshop di fotografia terapeutica e sogno durante il quale, insieme agli altri partecipanti del gruppo, come dice Marilena: ci siamo “legati insieme nei sogni per tenerci uniti alla paura”.

La fotografia scelta per la pubblicazione del progetto è questa:

 

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Titolo: La luce che è verso di sé attenua la rigidità dando voce alle emozioni

2. Workshop completo The Selfportrait Experience di Cristina Nuñez.
Cristina è un’artista e fotografa spagnola, che utilizza l’autoritratto come strumento auto-terapeutico. Qui puoi approfondire la storia di Cristina, da tossicodipendente e prostituta alla scoperta della fotografia come strumento di esplorazione ed espressione del suo Sé. 

Un metodo molto intenso che ha fatto emergere vissuti dolori, ha aperto ferite dolorose e mi ha permesso di buttare fuori emozioni forti che, da tempo, avevo bisogno di far emergere. 

Durante questi lavori, anche io, sono stata supportata dalla mia Terapeuta.

Una delle foto presenti nel mio progetto fotografico dal titolo “Nessun titolo” è questa.

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Sezione: Parti del corpo

Da allora, dopo aver sperimentato le potenzialità di questo strumento, ho continuato a studiare e a formarmi in questo campo; promuovendo l’utilizzo della fotografia come canale espressivo e conoscitivo nei miei percorsi.

Ad oggi,  grazie alla fotografia e alla psicologia mi sono ricostruita nel tempo, come volevo io, lontana da quello che gli altri volevano per me.

Grazie per essere arrivata fin qui, se vuoi condividere con me le tue riflessioni, il tuo punto di vista sull’argomento o le sensazioni provate durante la lettura dell’articolo scrivimi a info@silviaprevitera.it.
Se invece desideri ricevere maggiori informazioni sui miei servizi di Fotografia Terapeutica e Psicologia a mediazione espressiva-corporea puoi scrivermi o prenotare una chiamata conoscitiva. Saprò consigliarti il servizio più adatto per Te.

Un abbraccio,
Silvia

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